sabato 5 agosto 2017

How to get away with India: i miei shock culturali

Sapete quel nanosecondo subito dopo la sveglia, quando non sai bene dove sei o che giorno sia? Oggi, al mio risveglio, in quel nanosecondo ho pensato di essere ancora in India.
Un po' per il caldo, che vi giuro non ha niente da invidiare a quello che pativo a Chennai, nella casetta dove vivevo senza aria condizionata, e un po' perchè probabilmente mi stavo svegliando da un sogno in cui ero ancora là.
Così ho ripreso il telefono in mano, e ho sfogliato le immagini nella galleria. In un mix tra malinconia, saudade (o saudagi) e gratitudine (perchè comunque non c'è altro posto dove vorrei stare in questo momento, se non casa mia) mi sono resa conto di non aver mai scritto un post su cos'è stata l'India per me, nel senso più pratico del termine: uno shock. 

Vedete, io mi sono sempre ritenuta una persona che si adatta, che raramente si fa spaventare dalle situazioni nuove, le affronto di petto, magari mi lamento per ore e ore - ma questo solo perchè lamentarmi è il mio sport preferito - però poi trovo incredibilmente stimolante quella sensazione che ti assale dopo aver fatto qualcosa che non avresti mai pensato possibile, ti fa sentire una piccola regina del mondo, indistruttibile. 
In India, potevo letteralmente afferrare quella sensazione ogni giorno e coccolarla quando andavo a dormire, ogni nuovo giorno per me era qualcosa di nuovo e di sconvolgente. 

I miei amici più stretti, la mia famiglia e il mio ragazzo lo sanno bene. Provate a chiedere loro quante volte durante il giorno pensavo di non farcela, quante serate passate a scrivere "non ce la posso fare, questa è una gabbia di matti, ma dove sono finita? Portatemi via", tanto che i miei amici iniziavano a farmi proposte come questa:


E nel degenero generale, abbiamo anche trovato il salvatore delle donne occidentali, 
Red, il cow boy di vacche sacre 
-grazie Federico per questo fantastico collage-

Insomma, pur essendo stata in questa terra folle e affascinante allo stesso tempo, per solo due settimane circa, sono andata a ripescare tra le note del telefono, un piccolo elenco con tutte le cose più peculiari che mi hanno colpito durante il mio breve percorso. 
Non ve la faccio edulcorata in nessun modo, certi giorni sono proprio stati una merda! 

AVVISO: 
tutto ciò che leggerete di seguito, potrebbe urtare la vostra sensibilità nel caso foste: analfabeti funzionali che non colgono l'ironia, sconosciuti che non conoscono il mio modo di scrivere, indiani ipernazionalisti, i due marò.
Ogni riferimento a cose, persone e situazioni, non è casuale, sono fatti avvenuti realmente, osservati sotto la lente di una ragazza occidentale, alla prima esperienza nel continente asiatico, che ha vissuto l'India nella maniera più cruda della full immersion, non come turista, e che usa l'ironia come arma per combattere ciò che le capita nella vita, quindi regolatevi di conseguenza.


La mia nota iniziava più o meno così:

La mattina in cui ho iniziato a scrivere questo post, stavo aspettando un Uber sotto casa. 
Una vacca sacra si ferma a un metro da me, in mezzo alla strada. Mi guarda con aria irriverente, mi scagazza davanti, e se ne va compiaciuta, in modo sacro ovviamente.
Ecco, direi che non avrei potuto trovare aneddoto migliore per raccontarvi come sia stata la mia prima settimana in India.
Mi avevano avvisata, che le differenze erano tante, che la cultura era diversa, che non sarei riuscita ad adattarmi. Ma io sono del segno del Toro, e per 1/4 calabrese, quindi ho la testa più dura del cemento, e non me ne frega fondamentalmente niente di quello che mi dice la gente. 
Povera scema.

Voglio iniziare dall'atterraggio, l'inizio inizio.

Gli odori.
Appena uscita dall'aeroporto, la prima cosa che colpisce è l'odore dell'aria. Mi avevano detto che l'avrei avvertito, ma avendo vissuto quasi a Whitechapel, il quartiere paki-bangla-indiano di Londra, non pensavo che mi avrebbe fatto chissà quale effetto. Mi sbagliavo. Non saprei descriverlo, è un miscuglio tra smog, cibo, sudore, forti e intensi odori. Altro che Whitechapel, che al massimo ti veniva voglia di Samosa mentre camminavi per stada.

Noi non usiamo la carta igienica
Stop, non voglio aggiungere altro. E come si puliscono? Con un doccino attaccato al water, praticamente un water-bidet tutto in uno, fantastico no? No. E poi, la cosa divertente è che essendoci poche persone che la usano, ha anche un prezzo esorbitante. Dico solo che la pagavo più di quanto la pagassi a Londra. Stop, che se no piango.

E non abbiamo il frigo in casa.
Immaginate. Caldo, niente aria condizionata. Puoi usare solo l'acqua in bottiglia perchè quella del rubinetto ti farebbe venire un cagotto epocale, tanto da farti pasare giorni interi in bagno (senza carta igienica). Hai bisogno di fresco. Eh, fatti tuoi, bevi l'acqua dalle tue bottigliette a temperatura ambiente. E temperatura ambiente vuol dire 35-37°C. Senza contare il cibo, cosa cucini quando non hai il frigo? Ci arriveremo.

Letto? Quello è il tuo letto.
Il mio letto era una cassapanca di legno. Il mio materasso era una coperta un po' spessa, tipo un materassino di stoffa alto non più di 10cm. E la mia padrona di casa, per cedermi il suo letto, ha dormito per terra, nell'ingresso, sdraiata su una stuoia, dopo avermi detto "vai tranquilla, io odio dormire nel letto, è troppo morbido, preferisco il pavimento". TROPPO. MORBIDO.
MORBIDOSO oserei dire.


Parliamo delle STRADE.

Come io immagino Napoli.
Cosa c'entra Napoli in un post sull'India? Nulla, o poco. 
Premetto che non ci sono mai stata (e mi si spezza il cuore), ma al nord esistono una serie di leggende meravigliose, di amici e parenti che ci sono stati in vacanza, o ci scendono regolarmente per andare a trovare i familiari. Se c'è una cosa che mi ha sempre colpito dei loro racconti è come descrivevano il traffico. 
Io ora vorrei prendere tutte queste persone e farle impallidire di fronte a ciò che ho visto!

Le moto, AKA uno dei motivi per i quali sarei potuta morire una volta al giorno.
La moto sembra essere il mezzo più usato, ho visto anche bambini guidare piccoli scooter, sono migliaia per le strade, sfrecciano di fianco agli altri veicoli con totale noncuranza, e non vi sto nemmeno a raccontare quanto si difficile attraversare la strada, strisce o meno, è una continua lotta per la vita. I primi giorni avevo una paura incredibile di attraversare, perchè le strade sono grandissime, le strisce sono rarissime e nessuno si ferma, MAI. Devi fare tu lo slalom tra i mezzi in corsa. 

Casco? Quello delle banane? 
Che ve lo dico a fa'? La cosa divertentissima è che ci sono anche negozi di caschi, addirittura venditori ambulanti di caschi per le strade. Ma vi assicuro che è una rarità assoluta vedere qualcuno in moto col casco. 

Aggiungi un posto in moto, che c'è un amico in più.
Pensavo che già due persone su uno scooter fossero troppe. Tre, magari le vedi a Napoli.
Quattro, no dai, è matematicamente impossibile. Quattro, di cui due adulti, un bambino e un neonato, è follia, pericolosissimo. 
E invece è la norma.
- in questa foto poi vediamo una particolarità, solo il padre col casco, sembra assurdo, visto che se io dovessi mai fare una cosa del genere (e non la farei MAI), preferirei tutelare i bambini, invece che la mia testa, e invece-

Vado di fretta, vado di fretta, con l'apetta.
Il più tipico tra i mezzi di trasporto è questo aggeggio qui.
Non è propriamente una moto. Non è proprio un'ape. Non è una macchina.
C'è chi lo chiama "bagiagi", chi lo chiama "tuc-tuc", chi lo chiama "autocar"(che dalla pronuncia inglese-indiana io pensavo dicessero "orto"). Sono delle specie di taxi, ce ne sono migliaia nelle città, e sono usatissimi. Noi avevamo la nostra autista di fiducia, una signora tra i 40 e i 50, simpaticissima, che parlava pochissimo inglese ma mi capiva benissimo. E guidava come una matta. Tutti gli autisti di questi aggeggini qui, guidano come matti, perchè essendo piccolo e molto maneggevole, puoi farci quello che vuoi. Praticamente sembrava di essere ad un rally ogni volta.
Mille modi per morire, se non muori attraversando la strada, lo farai su un tuc-tuc.
Grazie al cielo c'è anche Uber in India (IN INDIA E NON IN ITALIA, PORCO MONDO), che costa veramente una sciocchezza, qualcosa come 3, massimo 4 euro per una tratta di un'ora. 

GTT, spostati proprio.
Continuando la rassegna dei mezzi di trasporto, non potevo dimenticare quello che più mi ha lasciata basita. I bus. 
Penso basti qualche foto, non c'è bisogno di ulteriori commenti.

Non hanno porte, non hanno esattamente vetri. Sono così. E io, dopo il primo viaggio, ho decretato che sarebbe stato anche l'ultimo.


Il clacson è il mio migliore amico.
Di solito tutti quelli che mi conoscono si lamentano di come guido. Semplicemente perchè, se davanti ho degli imbecilli che non sanno guidare, mi attacco al clacson e suono imprecandogli contro.
In India, le strade, sono un concerto continuo di clacson, ma non lo fanno in maniera cattiva come me, che urlo come una matta contro quelli che non camminano, penso che loro lo facciano di default. Accendono, frizione, acceleratore, clacson. 

La strada è di tutti, soprattutto delle divinità.
Ma per strada non troverete solo mezzi di ogni genere. Le troverete popolate anche da: cani randagi, capre e vacche sacre. Questa delle vacche sacre l'ho sempre creduta una leggenda urbana, dai seriamente ci sono delle mucche giganti che girano libere tra il traffico delle città? Sì, veramente. A quanto mi hanno spiegato, la sacralità della vacca risiede nel fatto che, secondo la tradizione Hindi, in quest'animale risiedano tutti gli dei. Sono moltissime le rappresentazioni delle vacche nei templi. Anche qui ovviamente non mancano le contraddizioni. Pur essendo ritenuta sacra, lo stato in cui vegetano questi animali è davvero sconcertante. Vagano per le strade senza che nessuno le nutra, quindi costrette a mangiare quello che trovano ai bordi delle vie, che si tratti di cibo, spazzatura o qualsiasi oggetto, sono deperite, così magre che si riesce addirittura a vedere le costole. Ogni volta che ne vedevo una, provavo onestamente una gran pena. Poi effettivamente mi ricordo di quante volte io mangi la carne, e mi sono sentita un po' ipocrita. 
P.s. I McDonald esistono, non ci troverete carne rossa, ma solo pollo e hamburger vegetariani. Vi lamentate ancora delle insalate del Mec che trovate in Italia?

Guida all'inglese? No, guida all'indiana.
Io pensavo che in India si seguisse la guida "all'inglese", come anche in Giappone per esempio. Sì, cioè no. In India la strada è tua, punto. Non esiste un senso di marcia nelle strade di città. In quelle tipo statali, tangenziali o simili non c'è questo pericolo. Ma nelle strade interne è assolutamente normale vedere sfrecciare a tutta velocità una moto proveniente dal senso opposto, idem per quanto riguarda i tuc-tuc.

Per farvi un riassunto, vi lascio un video brevissimo che ho cercato di fare mentre ero sopra un bagiagi, ma ho smesso subito perchè temevo la morte! 


Ora passiamo alla parte USI & COSTUMI.

Il cibo, aiuto. Aiuto, aiuto.
In Italia, adoravo mangiare il cibo indiano. Costava una fortuna, ma a mio parere valeva tutti i soldi spesi. 
A Londra, non mi piaceva per niente il cibo indiano. Era tutto troppo fritto, troppo piccante, troppo sotto forma di pappine.
A Chennai ho odiato il cibo indiano.
Ok, forse "odiare" è una parola grossa. Diciamo che per l'esperienza che ho avuto anche il cibo è stato mio nemico.
In casa, non avendo il frigo, la scelta di cibo era limitata a: riso, riso e... riso. Ah, no. Vero, ogni tanto avevo anche le patate, insieme al riso. Fino a che non mi sono stufata, ho comprato un pacco di pasta, due pomodori e ho iniziato a cucinare solo per me, niente è più bello di un piatto di pasta col sugo fresco dopo giorno di riso in bianco. Santo cielo, sono un tale cliché. 

Il problema principale era che la mia accompagnatrice/mentore/responsabile era la classica indiana che mi portava a mangiare solo in posti indiani, l'equivalente delle nostre osterie, basso prezzo e tanto cibo. Quando poi una sua amica mi ha chiesto se volessi andare a mangiare un hamburger, quasi piangevo, idem quando mi hanno portato da KFC o Starbucks. 
Ore vi spiego.

A cosa ti servono le mani?
Il mio dramma numero uno. 
Appena scesa dall'aereo, la mia responsabile mi portò da degli amici che volevano conoscermi, io ero felicissima di questa cosa, appena arrivata e qualcuno già mi stava cucinando un tipico pranzo indiano. Cheffigo. Arriviamo, ci sediamo per terra, e fin qui tutto bene. Iniziano a mischiare il riso con una quantità enorme di cose buonissime, patate, cavolfiori, pollo più o meno piccante, verdure in salsine speziate, tutto nello stesso piatto. E poi iniziano a mangiare, CON LE MANI. Io non sono schizzinosa, lo sapete. Con le mani mangio la pizza, la carne alla brace, patatine, hamburger e via dicendo. Ma il riso, no. Non per una questione di igiene, perchè con un po' di Amuchina passa la paura (e vorrei solo ricordarvi che mi nonna mi aveva comprato dieci confezioni di Amuchina prima che partissi), è proprio per l'idea di avere riso ovunque, salsa ovunque, no. Gna fo'.


Il problema principale fu che trovandomi con una persona che riteneva assolutamente normale questa pratica, senza preoccuparsi di chiedermi cosa ne pensassi, mi sono ritrovata davanti una piccola barriera culturale. Quella volta, il mio primo giorno, mi adattai sforzandomi di integrarmi tra loro, e non vi dico nemmeno quanto ci misi a finire il mio pasto! Da quel giorno ho imparato a girare con un cucchiaio in borsa. Una conversazione che vi rende chiara la mi situazione è circa questa:
- Ma a cosa ti servono le mani, se non le usi per mangiare?
- A tenere le posate.
- Beh, ringrazia che non sei in Cina, quelle bacchette sono molto peggio delle mani.
- ... no.

Il tipico pasto indiano
Nei giorni a seguire, e sempre senza frigo in casa, la mia responsabile mi portava a mangiare fuori molto spesso. Non c'è bisogno che vi dica quanto poco costasse il cibo. Quello che in Italia, in un ristorante indiano, avresti pagato circa 30 euro, lì lo pagavamo l'equivalente di 1 o 2 euro, per un pranzo all you can eat.
La presentazione era questa:
Una volta seduti al tavolo, vengono date delle tovagliette fatte di foglia di banana, che bisogna bagnare con un po' d'acqua. Dopodiché passano tra i tavoli con grossi pentoloni di riso e condimenti vari, e con un mestolo te lo schiaffano sulla tovaglietta. Senza piatti, ovvio. 
I condimenti più classici sono quasi sempre speziati, più o meno piccanti, con moltissime verdure (esageratamente buone!), pollo o legumi. Usano tantissimo il burro e sono soliti bere una cosa chiamata "buttermilk", che io trovo un cicinin disgustoso, ed è praticamente lo scarto della panna quando si produce il burro, loro ne vanno ghiottissimi. 

Colazione con cornetto e cappuccino? Nah.
Colazione a casa, voleva dire mangiare riso, fresco o della sera prima, poco importava. Quindi, la prima volta che mi sono sentita dire "andiamo a fare colazione fuori", mi brillavano gli occhi come se mi avessero detto che Natale sarebbe arrivato in anticipo. Mi aspettavo un bel caffè, non quella schifezza solubile che avevo a casa, dei muffin, dolcini, tortine, cose buone e piene di zucchero.
E invece.
La mia colazione è stata questa:
Praticamente, per gli indiani la colazione è un pasto importante più del pranzo, quindi mangiano le stesse cose che mangerebbero a pranzo. Quando la mia responsabile mi ha chiesto cosa mangiavo io a colazione, e io le ho risposto biscotti, cereali, tortine, e cose così, mi ha detto "ma quella non è una colazione, è uno snack. Dai, vado a mettere su le lenticchie per la colazione di domani".
Giusto per darvi un'idea, ecco.

Altre cose che non so bene come classificare: fila indiana e meglio fuori che dentro.
Ci sono due cose che davvero facevo una fatica incredibile ad accettare: le code e il rutto libero.
Partiamo dalle code. Sarà che vengo da Londra, dove la gente sta in fila per il puro gusto di far file. Gli inglesi sono pazzi in questo senso, fanno file di ore anche solo per andare nel tale ristorante a fare colazione. Loro amano fare le code, quasi quanto amano Liz e le sausage rolls. Provate a cercare su google "why british people love to queue" e vi usciranno articoli fantastici, incluso questo video che vi aiuterà a capire bene questa loro ossessione per le code cliccando QUI. Bloody hell, come si vive bene in un posto dove nessuno scavalca le code e si sta tutti in un'unica fila in attesa del proprio turno.
Ma qui siamo in India, probabilmente gli anni sotto il colonialismo inglese hanno fatto in modo che regole millenarie come "la coda" venissero prese in odio. Avete presente, in Italia, quando c'è una fila? Ecco, io no, perchè in genere invece di esserci una composta fila unica, dove ognuno aspetta il suo turno, c'è un agglomerato di persone che provengono da tutte le parti e cercano di scavalcarti. In India è UGUALE. Tutto il mondo è paese? No, tutto il mondo dovrebbe essere un po' più educato.

E i rutti. Sapete che io non sono una signorina di classe. Faccio a gara di rutti con i miei amici maschi e qualche volta mi vanto come un pavone di uscirne vincitrice. Ma un conto è fare queste cose al pub o ad una tavolata di amici dentro casa. Ben diverso è andare a mangiare al ristorante e sentire ruttare tutta la gente intorno a te, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Già trovavo un po' difficile essere circondata da persone che mangiano riso con le mani, figurati quando dopo mostrano apprezzamento per il cibo con dei sonori ruttazzi. Mio fratello direbbe che tutto ciò è molto punk, non c'è che dire.


Animali fantastici nei centri commerciali: sorry, selfie?
Una delle cose che mi ha fatto più ridere era la gente nei centri commerciali che mi fermava per farsi una foto con me. Parliamoci chiaro, io non sono una strafiga, una modella di Victoria Secrets o una famosa star internazionale. Molto probabilmente per loro è così inusuale incontrare una ragazza pallidissima, con i capelli rossi ricci, gli occhi azzurri e i tatuaggi, che non vedevano l'ora di mostrare ad amici e parenti quale strano animaletto esotico si aggirasse tra i corridoi del centro commerciale. Mi è capitato davvero spesso che la gente mi fermasse e mi dicesse solo "Sorry, selfie?", e io accettavo ridendo, e ammetto che la cosa mi faceva sentire molto Lady Gaga, quindi la mia autostima era alle stelle! 

La contraddizione nell'abbigliamento
Questo più che uno shock culturale, è una mia grande perplessità, alla quale non ho avuto modo di trovare risposta.
Ve lo spiegano bene in questa vignetta:
Per chi non masticasse bene l'inglese, le due donne rimproverano la ragazzi di avere troppa pelle in mostra, salvo poi vedere che in alcuni casi i Sari mettono in mostra molta più belle degli abiti moderni. Probabilmente il fattore culturale è molto forte e fa in modo che, indossando un abito tipico, questi fattori passino in secondo piano, ma questa è solo un'ipotesi mia. 
Quando stavo preparando le valigie per andare in India, tutti mi dicevano di evitare categoricamente canotte, maglie scollare e short. Con i pantaloni larghi di tela, il caldo è assolutamente sopportabile, ma quando ho provato il mio primo Sari, ho provato una forte stima nei confronti delle donne che hanno lo sbatti di mettersi tutto quell'ambaradan addosso, che io al mattino è già un miracolo se riesco a mettermi la maglietta dal verso giusto.

-è comunque un indumento meraviglioso e ne avrei comprati 10 
se solo avessi l'occasione per metterli - 


L'India è proprio questo, un paese affascinante e pienissimo di contraddizioni. 
Qui ho voluto elencare alcune delle cose che, culturalmente, sono più distanti da me e dalla mia vita di tutti i giorni. Non ho alcuna vergogna ad ammettere che ho fatto davvero fatica i primi giorni ad abituarmi alla nuova realtà perchè, come ho già menzionato sopra, vivere certe realtà da turista è un conto, viverle totalmente immersa in una cultura diversissima, già dal primo giorno di permanenza, è un po' meno facile.
Mi piange il cuore averla abbandonata, vi dico la verità, anche se niente di quello che stavo vivendo era facile, o forse SOPRATTUTTO perchè niente era facile, lo trovavo incredibilmente stimolante. 

In poco tempo ho visto cose bellissime e cose bruttissime.


Ho visto templi meravigliosi

                                   


Come il Kapaleeswarar Temple, un tempio Hindu dedicato a Shiva

O gli innumerevoli templi ai bordi delle strade





Ho visto fiori e colori meravigliosi






Ma ho visto anche tanta povertà, tante persone dormire ovunque, tanti mendicanti passare le ore ai bordi della strada. 
Tante situazioni difficili, tante ingiustizie. Ho avuto modo di parlare con persone di differenti età e classi sociali.
Quelli che ho descritto sono sciocchezze rispetto ai veri shock che ho provato quando mi hanno raccontato le condizioni in cui vivono ancora oggi le donne o le realtà delle caste, dei dalit, per i quali esiste una fortissima tutela a livello Costituzionale, che però nella pratica è pari a zero, perchè ci sono realtà così inculcate nella società, dove i diritti umani non riescono a entrare, che sono difficili da cambiare.

How to get away with India?

Non si può, o la ami o la odi. C'è una specie di limbo, credo sia possa definire un limbo di adattamento, quello in cui mi trovavo io. A giorni alterni la odiavo per tutti i suoi limiti e altri giorni la amavo per le meraviglie che potevo trovare soltanto lì.
Tornerò ad altre condizioni, magari non vivendola più in modo crudo come la prima volta, e farò in modo che un po' addomestichi la mia visione così occidentale della vita, e mi renda più malleabile, per uscire dal limbo di adattamento e capire se davvero la amo o la odio.

Sono andata in India con una valigia piena di domande, che pensavo avrebbero trovato risposta dopo tre mesi passati in una terra che non era la mia. 
Sono tornata a casa dopo due settimane e mezzo, di cui una passata in ospedale, rischiando le penne e con la paura che non avrei più rivisto casa. Sono stata sfortunata, una serie di brutti eventi mi hanno fatto lasciare quella città con il magone, arrabbiata per quello che mi stava capitando e soprattutto perchè avevo dei piani, avevo dei progetti per i prossimi tre mesi in quella terra magica e misteriosa

Invece sono tornata a casa, ho lasciato alcuni pezzetti del mio corpo in ospedale, e mi sono portata a casa una brutta compagnia che inizierò a combattere nei prossimi giorni. E non la lascerò vincere, perchè io devo tornare in India e vedere gli elefanti in libertà, che è una delle cose più importanti che avrei voluto fare, e mi si spezza il cuore al pensiero di non esserci riuscita.

Ma appena starò meglio tornerò.


È una promessa.

      

domenica 25 giugno 2017

Chi difende i diritti delle lavoratrici, quando fanno il mestiere più antico del mondo?

Per un momento, dimentichiamoci tutte le scemenze scritte negli ultimi due post, perchè questo ha l'ambizione di essere un piccolo angolino informativo di ciò che sto vedendo in India.

Vorrei però prima fare una premessa:
questo è il blog di una donna che si è sempre dichiarata fermamente femminista.

Vorrei che fosse chiaro prima di continuare la lettura, ciò che io intendo per femminismo. Per me non è l'estremizzazione, non è la superiorità della vagina, non è un mondo senza uomini sai che bello, non è la donna migliore dell'uomo, non è incolpare il sistema per l'esistenza della ceretta.
Per me il femminismo è diviso in due semplici parole: uguaglianza e scelta.
E so benissimo che uomini e donne sono diversi biologicamente e ci sono tutta una serie di comportamenti che entrambi non capiremo mai gli uni delle altre (e probabilmente è questo che rende così interessante e psicotico il gioco del corteggiamento).

Quando parlo di uguaglianza, intendo eguali possibilità.
E quando parlo di scelta, che è il potere più grande che secondo me viene affidato agli esseri umani, intendo il potere di scegliere per noi stesse.
Se una donna, in totale autonomia, decide una cosa per se stessa, avrà il potere della scelta, e potrà definirsi libera.
Se una donna decide di indossare un velo, senza che nessuno glielo imponga, è giusto così, e se tu le imponi di levarlo sei tu a sbagliare.
Se una donna non te la vuole dare, non è una figa di legno, il corpo è suo e decide lei.
Se una donna decide di darla via più spesso di quanto tu consideri "normale", non è una troia, il corpo è suo e ci fa quel che vuole.
Se una donna decide che non vuole un figlio, e vuole ricorrere all'aborto, la scelta è sua perchè il corpo è suo.
Se una donna decide di usare il proprio corpo per dare piacere ad un altra persona, e farsi pagare, non vedo chi debba essere tu per impedirglielo, fintanto che si tratti di una scelta libera da condizionamenti e autonoma - e questo non è un esempio casuale, visto che tratterà proprio di questo il mio articolo.
Questo è il femminismo, per me. E non è una parolaccia, non bisogna vergognarsi di dichiararsi tali, anche se spesso è stato considerato come un insulto, per me rimane un gran complimento.

Ora, potete essere d'accordo con me, o meno, non che mi interessi molto, è giusto che ognuno abbia la sua idea, ma mi sembrava giusto specificare da quale lente viene vista la società che andrò a raccontare, visto che ormai sappiamo tutti che io non riesco ad essere così oggettiva nei giudizi.

Perchè tutta questa premessa di pomposo autocompiacimento femminista?

Perchè è giunto finalmente il momento di spiegare cosa ci faccio qui, o meglio, una parte.

A Chennai collaboro con un'associazione chiamata Nirangal, che insieme ad un network di altre organizzazioni chiamato Tamil Nadu Rainbow Coalition, si occupa della tutela, della difesa legale, del supporto della comunità LGBTQ (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer). La mia stessa responsabile, nonchè padrona di casa, è una transgender. Vi prometto che approfondirò tutto il discorso diritti LGBT nell'articolo dedicato al Pride, per ora ho un'altra storia da raccontare.

Non è solo di diritti LGBTQ che ci occupiamo.
L'altro giorno ho assistito ad un dibattito, organizzato da una delle associazioni della  Tamil Nadu Rainbow Coalition, chiamata SIAPP (South India AIDS Action Programme) che si occupa da circa 27 anni, della prevenzione e cura delle malattie sessualmente trasmissibili, in particolare il virus HIV, che in un paese come l'India è comunque un problema piuttosto grave. Prima di tutto perchè non c'è prevenzione, non si parla di sesso per vergogna, una ragazza mi ha detto che entrare in farmacia per comprare preservativi è difficile perchè tutti ti guardano male e non hanno i distributori automatici. Poi non c'è informazione, non essendoci la totale libertà di parlare di rapporti sessuali, non può esserci informazione per quanto riguarda le malattie sessualmente trasmissibili, di cui l'AIDS è solo un esempio. Su tutto il territorio sono nate queste associazioni che aiutano principalmente sex workers, ma non solo, anche transgender, donne, adolescenti e membri della comunità in generale, ad avere una maggior conoscenza del problema o supporto psicologico nel caso abbiano già contratto la malattia.



Questo dibattito, menzionato poco fa, riguardava i Sex Workers.
Ora, vorrei che in italiano ci fosse una parola che possa rendere l'idea senza ridicolizzare, rendere volgare, o svuotare di significato quello che è un/una Sex Worker. Potrei usare la parola prostituta, ma storco il naso per diversi motivi.
Prima di tutto prostituta è limitante alle semplici donne, quando sappiamo benissimo che ci sono anche uomini, omosessuali o meno, che svolgono questo lavoro.
Secondo, il termine prostituta, in Italia, è considerato un insulto. E questa cosa non mi sta bene, soprattutto perchè queste persone meritano grande rispetto, e lo capirete appena vi racconterò alcune delle loro storie.
Terzo, in Italia c'è la concezione che le prostitute facciano questo lavoro solo ed unicamente sotto sfruttamento di terzi, senza considerare che alcune/i possano sceglierlo come lavoro in totale autonomia (qui ci vuole la citazione telefilmica, se non l'avete mai visto, vi consiglio di guardare "Diario di una squillo per bene", in inglese "Secret Diary of a call girl". Ok, è una commedia. Ok, è un'americanata. Ok, è limitante all'ambiente della classe medio ricca. Ma è pur sempre un'idea).
Mi trovo quindi un po' in difficoltà a trovare una parola italiana per esprimere il concetto di sex worker, quindi ho deciso che lo lascerò in inglese, tanto credo che il significato sia chiaro a tutti.

Mi asterrò dai termini di paragone, perchè non ho una conoscenza abbastanza vasta delle leggi in merito alla prostituzione in Italia, quindi prendete il mio articolo più come puramente informativo che comparativo.

È stato stimato, dall'organizzazione "Me and My World", con sede nello stato dell'Andhra Pradesh, che ci sono circa 800mila donna che lavorano come sex worker in tutta l'India, anche se il numero è difficile da calcolare con precisione, soprattutto perchè non sono calcolabili tutte le donne che fanno questo lavoro sotto sfruttamento, e non vengono prese in considerazione in questa cifra né trangender né uomini, quindi il numero è sicuramente più alto.

Le storie di queste donne sono davvero difficili. E dopo il dibattito ho avuto modo di avvicinarmi a loro, o meglio, loro hanno accerchiato il giocattolino esotico e hanno iniziato a farmi domande, a toccarmi i tatuaggi, giocare coi miei ricci, dirmi che sembravo una bambolina di porcellana, insomma sono diventata la loro mascotte. Questo mi ha permesso di entrare in confidenza e farmi raccontare qualcosa di loro, lontano dalle tante persone presenti in sala.

La prima a parlarmi è veramente bellissima, sia per la forma del viso, sia per tutti gli orpelli e i ninnoli dorati che indossa e sia perchè, pur avendo 5 figli e 29 anni, ne dimostra appena 23 al massimo. Mi racconta che il suo primo marito l'ha lasciata e da tre anni lavora come sex worker per mantenere lei, i suoi figli, sua sorella e sua madre. Mi dice che è fiera del lavoro che fa, perchè le permette di mantenere la sua famiglia. Ora ha un compagno, al quale non può raccontare il lavoro che fa. Anzi, non lo può raccontare a nessuno perchè "immagina se venissero a sapere il lavoro che faccio, chi si sposerebbe mai la figlia di una sex worker? E io ne ho 4 da accasare". Ha provato a cercare altri lavori, principalmente perchè ha paura delle violenze della polizia (che proprio poco tempo fa ha mandato in ospedale la sua amica, dopo averle rotto una gamba con un manganello, e lasciandola senza possibilità di lavorare per un mese), ma nessuno di questi le permette di guadagnare così bene, e lei vorrebbe davvero mandare i suoi figli all'università, soprattutto le figlie perchè "per loro voglio il miglior futuro possibile, anche se questo non significa il miglior presente per me"

La seconda è una storia di orgoglio. Questa donna è nata in una famiglia ricca, composta da due avvocati, sposa un uomo della classe media, e hanno diversi problemi economici. Nascono i bambini, ma la povertà cresce. Tanto che due di questi muoiono per colpa della povertà, con una combinazione fatale di carenza di cibo e malattie. A questo punto il marito le dice senza mezze misure che deve trovarsi un lavoro che le permetta di guadagnare, e anche bene, in modo indiretto le suggerisce proprio quella strada. Ad oggi la situazione è cambiata. Grazie al suo lavoro è riuscita a mandare all'università i suoi tre figli e dice che è fiera di quello che fa, perchè le permette di mantenere la sua famiglia e di dare ai suoi figli tutto quello che meritano, salvandoli dalla povertà e dalla fame.

Tante di loro mi raccontano storie simili, di povertà e di abusi dentro e fuori le mura di casa. Fuori, da parte della polizia, e dentro da parte dei mariti quando non portano a casa abbastanza soldi. Il problema della polizia, è davvero un problema reale. In alcuni casi si limitano ad essere violenti con loro, sia in modo fisico sia psicologico, facendole vergognare di quello che fanno o sputando sui loro vestiti. Altre volte è successo che, non potendole arrestare per il reato di prostituzione (e dopo vi spiegherò perchè), si inventano false accuse, come per esempio contrabbando di stupefacenti, per poterle arrestare e trattenerle almeno per la notte. In altri casi, come mi ha raccontato una ragazza dallo stato del Maharashtra, che è uno degli stati dell'India con i redditi più alti, la polizia arresta i clienti, che essendo gente facoltosa, non si presenterà una seconda volta per paura che venga infangata la loro reputazione.

Ma la storia che mi ha segnato di più, è quella di una signora che oggi ha anche una certa età, un po' pienotta e non certo avvenente. Proprio lei, appena mi vide, mi chiede "ma tu sei sposata?" io tranquillamente le ho risposto di no, già pronta all'assalto tipico delle donne di una certa età che mi dicono che sarebbe anche ora, e invece lei mi ha risposto "brava, e non ti sposare, mai", idola della vita, infatti quando parlava di altre cose faceva davvero morire dal ridere, una simpatia travolgente. Il che è ancora più sensazionale, se ripenso a cosa ha dovuto affrontare nella sua vita. Si sposa a 14 anni, anche se i matrimoni dei bambini rimangono illegali, a livello informale questa pratica non si è mai realmente estinta. Il primo figlio arriva un anno dopo, e poi un altro, un altro ancora, e via alla famiglia numerosa, il che economicamente non è un gran problema, visto che il marito è un funzionario governativo. Fila tutto liscio finchè a 18 anni scopre di avere una malattia al sistema riproduttivo, che per un certo periodo le impedirà di avere rapporti sessuali e di svolgere una vita normale. Il marito decide quindi di assumere una specie di domestica. Devo dirvi come va a finire o avete visto abbastanza film/telefilm/telenovelas per sapere che il marito scappa con la domestica e tanti saluti e baci? Ecco, esattamente. Non solo. All'epoca lei aveva solo 19 anni, troppo pochi per affrontare un divorzio da sola. Il marito fa di tutto per portare quanto più possibile la situazione della sua parte durante l'udienza per il divorzio, dichiarando che è stata lei a tradire e che lui non era nemmeno sicuro che quei figli fossero suoi, uscendone indenne senza nemmeno dover dare un mantenimento all'ormai ex moglie. La mia amica è comunque determinata a dare ai suoi figli la vita che meritano, quindi prova a richiedere lavoro come centralinista. Il datore di lavoro, o meglio colui che le fa il colloquio, in un primo momento le promette il lavoro, ma successivamente la rapisce e la vende ad un trafficante di donne in Singapore che si occupava di pedopornografia. Dopo ben dieci anni, lei riesce a tornare in India, dai suoi figli. Inizia però a lavorare come sex worker, perchè non ha molte altre alternative. La vita continua ad essere meschina con lei, dopo la morte del suo primo figlio, spende tutti i suoi averi per la dote di sua figlia, cercando almeno di poterle assicurare un buon matrimonio. Qualche anno più tardi, in uno scontro con la polizia, il suo secondo figlio maschio viene accoltellato e muore, lasciando moglie e due bambini. Pur non essendo suo obbligo legale, lei decide di prendersi cura di loro e ora la sua vita è questa, anche se ha intorno ai 40 anni (e non mi ha voluto dire di più), tutte le sofferenze che le ha inflitto la vita, che sembrano davvero non finire mai, lei ha trovato la forza di raccontarmi la sua storia e di farmi anche una battuta subito dopo.

Capite perchè queste donne meritano tutto il nostro rispetto?

La domanda è, cosa fa intanto lo Stato?
L'unica vera legge in tutela di questa categoria lavorativa, è rappresentata dall' "Immoral Traffic Prevention Act" che è datato 1956. La società civile nel frattempo è cambiata in modo velocissimo verso una modernità alla quale, spesso, è difficile stare dietro, sia per i cittadini sia per i legislatori. Infatti questa legge ha una grandissima limitazione, pur non considerando la prostituzione un reato: si riferisce solo alle sex workers che vengono sfruttate, lasciando completamente prive di protezione coloro che svolgono questa attività volontariamente, e parlando principalmente di traffico di umani.

La svolta è arrivata nel 2011 con la sentenza della Corte Suprema sul caso Buchadec Karmakar vs the State of West Bengal.
L'india ha un processo di formazione delle leggi un po' diverso dal nostro e molto più vicino ad un modello anglosassone. Pur essendoci la formazione di Act all'interno del Parlamento (le nostre leggi), c'è anche la componente dello stare decisis, o precedente vincolante. Proprio come negli USA. Praticamente, detto in parole molto semplici per non dilungarmi troppo, quello che viene deciso in un sede giudiziaria nel verdetto di un processo, diventerà vincolante per tutte le corti inferiori. Quindi se un verdetto proviene dalla Corte Suprema, che è l'organo giudiziario al vertice del sistema gerarchico, tutte le corti saranno vincolate dalle sue decisioni e quelle decisioni potranno essere applicate in altri casi come precedenti, in questo caso i precedenti diventeranno "fonti del diritto". Faccio un esempio molto scemo, Io faccio causa a Pinco Pallo perchè mi ha tinto il cane di blu. Nella legislazione vigente non c'è nessuna legge in merito a chi tinge i cani di blu, il mio giudice decide che in effetti pitturare i cani di blu è da stronzi, quindi manda Pinco in carcere. Da quel momento, chiunque altro venga citato in giudizio per aver tinto il cane di blu, finirà in prigione (l'ho davvero semplificata troppo e vorrei chiedere scusa alla Cantoni per questo, non mi revochi l'esame in Diritto Internazionale, io le voglio tanto bene!).
Altro esempio che la Corte Suprema ha di influenzare il panorama legislativo sono le raccomandazioni, che non hanno forza di legge, ma vengono accolte dal Parlamento, a volte in modo favorevole e quindi tramutate in Act con tutto l'iter legislativo, oppure semplicemente rigettandole o, nel caso non volessero sbilanciarsi sul tema, lasciandole in sospeso.

Quindi, questo caso è stato presentato alla Corte Suprema, in ultima istanza, e riguardava l'uccisione di una sex worker, che era stata declassata dalla corte inferiore (la High Court) come "un incidente" aggiungendo - con qualche semplificazione - che in fondo si trattava solo di una sex worker.
La Corte Suprema, quando si trova a dover decidere su casi riguardanti grandi temi presenti sul territorio, spesso da un occhio di riguardo sia alla situazione sociale attuale, sia allo schieramento dell'opinione pubblica. Il tema delle sex worker iniziava ad essere di peso considerevole, così la Corte decise, nel 2016, di non assumersi la responsabilità di una tale decisione, ma si esprime in merito al fatto che la donna deceduta, prima di essere "solo" una sex worker, era in primis una cittadina indiana, ed in quanto tale merita giustizia. Decise quindi di passare la patata bollente ad un Panel composto da quattro giuristi, che avrebbero dovuto scrivere una serie di regolamentazioni, che poi sarebbero passate al vaglio della Corte Suprema, dal quale sarebbe uscita una raccomandazione, che sarebbe andata in Parlamento, che eventualmente si sarebbe tramutata in legge, che al mercato mio padre comprò.

Da questo Panel sono uscite delle cose bellissime:
- Prima di tutto queste regolamentazioni avrebbero riguardato donne, uomini e transessuali
- Secondo poi, è d'obbligo una distinzione netta tra chi fa questo lavoro volontariamente e chi è vittima dello sfruttamento del traffico sessuale (in India proveniente principalmente dal Nepal)
- Concessione dei diritti ai lavoratori volontari e delle libertà fondamentali e delle protezione legale (quindi la Ration Card - che permette ai cittadini più poveri di beneficiare di un certo quantitativo di cibo, benzina e altri beni di prima necessità - la possibilità di mandare i figli a scuola gratuitamente ed un riparo notturno e diurno per i figli)
- Diritto alla privacy, cioè senza il loro consenso, non devono essere fotografate
- Una ridefinizione dei termini dell'Act del '56, come per esempio il divieto di lavorare nei luoghi pubblici, vige la regola del "chi è arrivato prima?", se è da tempo immemore luogo nel quale lavorano le sex worker, prima che l'edificio pubblico venisse costruito, queste hanno la priorità e viceversa.
- La polizia può arrestare una sex worker solo con un mandato, altrimenti se viene trattenuta in custodia, devono esserci un magistrato o un avvocato per potersi accertare che la lavoratrice sia volontaria e non vittima di sfruttamento da parte di terzi.

È tutto davvero bello, vero?
Peccato che sia anche tutto molto fermo, al vaglio della Corte Suprema, che sta ancora valutando le diverse proposte.

Ci sono anche governi che hanno cercato di attuare programmi per "salvare" le donne dalla scelta di una vita come sex worker, come lo stato del Karnataka che offre loro 20mila Rupie per smettere di lavorare. In Euro sono circa 270. Ora, va bene che la vita in India costa poco, ma come mi ha detto una delle mie nuove amiche "cosa me ne faccio di 20mila Rupie per smettere di lavorare, che comunque non mi basterebbero mai per tutta la vita, se quei soldi posso farli in pochi giorni?". Ecco, penso che abbia centrato il punto. Senza contare gli immensi giri burocratici necessari per ottenere questo denaro, così contorti e lunghi che farebbero perdere la pazienza anche a Gandhi.

L'India è uno stato molto conservatore, fortemente legato alla componente religiosa/culturale e del "rispetto della famiglia", soprattutto nel sud.
Possiamo sentirci migliori noi, in Italia? Quando abbiamo migliaia di donne che, in qualsiasi condizione atmosferica, si ritrovano sul ciglio di una strada, sfruttate, senza alcuna protezione legale, senza diritti, dei fantasmi che tutti vediamo e che, per tutti, è più facile far finta che non esistano. Uno Stato che non permette alle nostre sex worker volontarie, di esercitare il loro mestiere in modo legale, pagando le tasse come tutti gli altri lavoratori. Uno Stato dove se supporti le prostitute allora sei davvero sbagliata. Uno Stato che ha ancora paura a pronunciare le parole SESSO e PRESERVATIVO in pubblico. Uno Stato che ha paura della sessualità, che è comandato da una mentalità chiusa in se stessa e in precetti religiosi antichi, che sembrano impossibili da scalfire. Eppure la Maddalena di cui si parla nel Vangelo è stata accolta dal vostro Gesù (anche se proprio tra quelle pagine non viene mai specificato il fatto che si trattasse di una prostituta, il termine "peccatrice" nella tradizione popolare è stato trasformato in prostituta).

Vi sembra forse che l'Italia sia in una situazione migliore, che dall'alto del nostro pulpito noi possiamo giudicare ciò che accade in India? Io ho trovato a malincuore così tante cose simili, la vergogna della sessualità in primis. E la soluzione è "esorcizzare" questi discorsi, parlarne in maniera naturale, perchè di questo si tratta, natura.
Credo che tante cose possano essere fatte dai nostri legislatori, ma come dicevo prima, se anche un organo come la Corte Suprema non ritiene l'opinione pubblica preparata per un cambiamento radicale in tema di diritti civili, questo cambiamento non avverrà, né in India, né in Italia dove sono i nostri governanti (cattolici a convenienza) a dover decidere.
Onestamente non credo che i diritti abbiano qualche differenza religiosa.

Perchè proprio come hanno detto oggi al Pride "Sexual rights are Human Rights".

Stay tuned, stay sexual, use condom, love who you want.








sabato 24 giugno 2017

Incontri del terzo tipo e proposte di matrimonio ad Abu Dhabi

Perché Abu Dhabi? Non eri in India?

No, non ci siamo ancora arrivati. Il mio salotto volante, anche chiamato Etihadtiamo, fa scalo proprio lì e mi è sembrata un'idea geniale passarci un paio di giorni. Giusto? No, sbagliato. In qualche modo, miss organizzazione si è persa due fattori fondamentali:
- Il caldo atroce tipico dei mesi estivi
- Il Ramadan.
Due questioni non indifferenti che mi hanno impedito di visitare alcuni luoghi o di attraversare la città di pomeriggio per poterne trarre i gioielli nascosti.

Intendiamoci, non è affatto stata una vacanza negativa, avevo una stanza in un hotel 4* tutta per me, con la piscina, il buffet dell'Iftar incluso, ero a due passi dalla spiaggia e ho avuto l'occasione di vedere una delle meraviglie del mondo (e se non lo è, io ho deciso così), ed è comunque una città interessantissima piena di tradizioni e culture diverse da scoprire.
Trovate tutte le foto qui, nel mio album su Facebook. --> QUI


Ma ora veniamo al vero momento magico di questi due giorni ad Agrabah...ehm Abu Dhabi.

- anche questo è stato scritto di getto, sul momento, quindi torniamo tutti indietro di qualche giorno -


Il miglior incontro in questa città è stato sicuramente il mio taxista personale, diventato tale solo perché mi ha portato dall'aeroporto all'albergo e viceversa, e ha deciso di diventare il mio migliore amico, o futuro marito, questo non mi è molto chiaro.
Kashi, vive ad Abu Dhabi e appena scopre che sono italiana mi dice che sua mamma e sua sorella abitano in.Italia, ma non ricorda il nome della città, è qualcosa di simile a Chievo (esite?)
All'andata mi dice di chiamarlo per ogni evenienza, se mi serviva un taxista, una guida turistica o una guardia del corpo. Poi io ho preso quegli orrendi bus turistici, e pensando di disturbarlo in altre ore, l'ho richiamato solo per riportarmi in aeroporto. Dovevate sentire come si è offeso perché non l'ho chiamato. Cose che nemmeno io quando avevo quindic...ok, cose che nemmeno io adesso, quando qualcuno non mi risponde ai messaggi.
Durante il viaggio abbiamo poi iniziato a parlare, del ramadan, dell'Islam, della vita ad Abu Dhabi e, inspiegabilmente, siamo giunti a questa conversazione:
- quanti anni hai?
- 27
- ah, anche io.
(Momento di pausa)
- e perché non sei ancora sposata?
- (risata di gusto) eh guarda, mio papà me lo chiede ogni volta che mi vede
- ma il ragazzo non ce l'hai?
- ah sì, ma sta a Londra
- e perché non ti sposa? Se non ti sposa, digli che ti sposo io, una ragazza così sorridente con degli occhi così belli, non può non sposarsi.

Dopo questa dichiarazione d'amore, decide di passare alle maniere forti, cioè senza nemmeno conoscermi più di tanto, riesce a capire quale sia il modo per raggiungere il mio cuore: il cibo. Così, senza nessuna spiegazione, si ferma davanti ad un negozio, mi dice di aspettarlo e scende. Io non ho pensato che volesse rubarmi gli organi, cioè magari a parte gli occhi, ero abbastanza tranquilla. Torna con un sacchetto pieno di roba, patatine, cioccolata, bibite fresche, dicendomi:
"ti ho preso qualcosina da mangiare per il viaggio, non sapevo cosa ti piace quindi ho preso un po' di patatine e il cioccolato che non fa mai male."
Io, a quel momento, stavo già scrivendo al mio ragazzo un messaggio di addio.
No, scherzo, anche se la conversazione è stata circa questa:
- vi risparmio il resto, perchè prede una piega piuttosto razzista, I know, but you know me - 

Salutato il mio nuovo migliore amico/futuro marito, mi dirigo verso l'entrata l'aeroporto, lasciandogli una lauta mancia e guadagnando una lezione importante: in occidente se sei fica e puoi permettertelo, metti in mostra il tuo corpo e ottieni circa quello che vuoi dall'uomo medio. Ad Abu Dhabi basta sorridere, essere gentile e probabilmente avere quel fascino da tomino piemontese biancolatte.
Ora, vi lascio perché mentre scrivevo tutto questo papiro, nella sala d'attesa del gate per Chennai, ho alzato la testa e mi sono accorta di essere l'unica palliduccia della sala. Non male, per una abituata a Londra che ha anche vissuto vicino a Whitechapel.


Stay tuned, stay white. Ci si sente in India.

NOTA FINALE: sapete quando ero preoccupata di fare una vacanza da sola? Ecco, stare due giorni per i cacchi miei, visitare quello che volevo, mangiare quello che volevo e quando volevo, dormire quanto/quando volevo, senza rendere conto a nessuno... è davvero una figata! 

venerdì 23 giugno 2017

Cos'è che fai? Non potevi fare figli come tutti i giovani della tua età?

Perchè?
Questa è la domanda che mi hanno rivolto più spesso negli ultimi nove mesi, esattamente da quando ho deciso di fare domanda per questi due progetti in India. 
Non ve lo voglio spiegare con questo primo post, il perchè. E nemmeno "ma cosa ci vai a fare poi?", che è la seconda domanda che mi hanno rivolto più spesso. Perchè questo lo capirete man mano che aggiornerò queste pagine, anche se alcuni di voi lo sanno. E oddio, beati loro, perchè io ogni tanto ancora mi pongo la stessa domanda. Ma di questo ce ne occuperemo nell'apposito articolo (in preparazione) sui vari shock culturali che mi hanno colpito in faccia, come una palla di cannone dell'era Napoleonica, durante la prima settimana. La terza domanda che mi hanno rivolto più spesso... ve la dico alla fine, così siete costretti a leggere tutto, AH! 

In questo primo post, vorrei farvi fare un piccolo giro sulle montagne russe emozionali anche chiamate "partenza". Ho scritto queste parole mentre il mio aereo superfichissimo Etihad stava lasciando il suolo inglese. E credo siano un perfetto inizio per questa folle avventura.

Partire, da sola, per un viaggio che ti porterà dall'altra parte del mondo, vuol anche dire trovarsi a piangere come una bambina non appena l'aereo decolla, mentre ascolti Symphony su Spotify e ti chiedi "MACHEMINCHIASTOFACENDO?"

E non me ne vergogno per niente.
Perchè appena passata l'adrenalina iniziale di salire su un aereo che ha più gadget e comfort di quanti ne avesse casa mia a Londra, appena lasci il suolo "occidentale", appena hai lasciato la tua famiglia in Italia, il tuo ragazzo a Londra e la tua vita sospesa tra tre Stati e due continenti, la razionalità delle tue scelte prende il sopravvento, facendo irruzione nei meandri della tua testolina, senza nemmeno bussare o chiedere il permesso. Entra a gamba tesa, come solo il buon vecchio Gattuso sapeva fare ai tempi d'oro.
E visto che io sono più emotiva di una donna incinta (ciao, io piango per le pubblicità) non ho nessuna vergogna nello sfogare i miei attacchi di "MACHEMINCHIASTOFACENDO?" in solitudine, con la sola compagnia di qualche lacrimuccia.

È proprio quello che, in aeroporto mi ha dato la botta: la solitudine.
Valentina, santissimo cielo nel quale stai volando in questo momento, ti rendi conto che stai andando in primis in un paese arabo durante il Ramadan, dove ci sono 45°C (sì, applausi all'agenzia di viaggi Valentina, solo viaggio organizzati con cognizione eh) da sola, e poi in India per due progetti incredibili, in due parti diverse del paese, con gente mai incontrata prima, dove nemmeno la metà della popolazione parla inglese, dove farà caldissimo e sei obbligata ad andare in giro tutta coperta, dove devi fare attenzione a tutto ciò che mangi/bevi (e scordati ghiaccio e gelati), dove devi fare attenzione a dove vai e di notte non puoi uscire per conto tuo, dove devi fare attenzione a quello che la tua boccaccia da femminista senza freni dice, DA SOLA. Niente amiche, fidanzato, famigliari, Pepe.



No, nada, niente, ciao, ciarea.
No.
Scusi, signorina hostess, può aprire il portellone, ho cambiato idea.
Ah, siamo già in volo ed è troppo tardi?
Va beh, ma un paracadute c'è? Anche uno piccolino. Poi da dove atterro me la faccio a piedi fino a casa e resto sul mio divano comodo a guardare Netflix tutta la vita.
Ah, dice che non è la soluzione? 
Allora mi porti un bicchiere di vino, che è sempre la soluzione.

(questa conversazione è avvenuta nella mia testa, dove ci sono tante voci, ma il vino mi è stato portato comunque, come potete vedere!)
Anche se forse sarebbe stato meglio dello Xanax.

Inizio a sorseggiare il vino. Ormai sono a tot-mila piedi da terra e mi rassegno all'idea di scappare.
Su Spotify poi parte Giorgia "E credo nelle lacrime, che sciolgono le maschere, credo nella luce delle idee che il vento non può spegnere. Io credo in questa vita, credo in me". (che potete ascoltare QUI)
Faccio un bel respiro, bevo un'abbondante sorsata di vino, e mi rendo conto che questa volta non ho altra scelta, credo in me perchè non ho nessuna spalla fisica vicino a cui appoggiarmi, e in 27 anni ho allenato bene questa gambe - e questi polpacci da Messi - ad alzarsi da sole.
Ciò non toglie che ogni giorno io ringrazi quel fantastico gruppo di supporto che ho a casa, che si subisce le mie lamentele ogni giorno e mi sopporta sempre e comunque, grazie raga!

Nel frattempo, tra una tragedia greca e una ormonale/emotiva/crisi di panico, ho creato una playist di film che voglio vedere da una vita 

- Etihad, quanto ti amo? - 
col solo scopo di farmi dimenticare che devo fare la pipì e ho il terrore dei bagni degli aerei, che per me sono giusto un gradino sopra a quelli dei regionali di Trenitalia. 
Stay tuned, amicici, il disagio è appena iniziato.

NOTA FINALE: comunque anche i bagni dei voli intercontinentali di Etihad sono più belli e puliti di quelli di casa mia a Londra!
NOTA FINALE2: la terza domanda che mi hanno rivolto più spesso, comunque, è stata "e col Napoli come fai?", non so per quale delle tre domande io vi abbia odiato di più :D




How to get away with India: i miei shock culturali

Sapete quel nanosecondo subito dopo la sveglia, quando non sai bene dove sei o che giorno sia? Oggi, al mio risveglio, in quel nanosecondo ...