sabato 5 agosto 2017

How to get away with India: i miei shock culturali

Sapete quel nanosecondo subito dopo la sveglia, quando non sai bene dove sei o che giorno sia? Oggi, al mio risveglio, in quel nanosecondo ho pensato di essere ancora in India.
Un po' per il caldo, che vi giuro non ha niente da invidiare a quello che pativo a Chennai, nella casetta dove vivevo senza aria condizionata, e un po' perchè probabilmente mi stavo svegliando da un sogno in cui ero ancora là.
Così ho ripreso il telefono in mano, e ho sfogliato le immagini nella galleria. In un mix tra malinconia, saudade (o saudagi) e gratitudine (perchè comunque non c'è altro posto dove vorrei stare in questo momento, se non casa mia) mi sono resa conto di non aver mai scritto un post su cos'è stata l'India per me, nel senso più pratico del termine: uno shock. 

Vedete, io mi sono sempre ritenuta una persona che si adatta, che raramente si fa spaventare dalle situazioni nuove, le affronto di petto, magari mi lamento per ore e ore - ma questo solo perchè lamentarmi è il mio sport preferito - però poi trovo incredibilmente stimolante quella sensazione che ti assale dopo aver fatto qualcosa che non avresti mai pensato possibile, ti fa sentire una piccola regina del mondo, indistruttibile. 
In India, potevo letteralmente afferrare quella sensazione ogni giorno e coccolarla quando andavo a dormire, ogni nuovo giorno per me era qualcosa di nuovo e di sconvolgente. 

I miei amici più stretti, la mia famiglia e il mio ragazzo lo sanno bene. Provate a chiedere loro quante volte durante il giorno pensavo di non farcela, quante serate passate a scrivere "non ce la posso fare, questa è una gabbia di matti, ma dove sono finita? Portatemi via", tanto che i miei amici iniziavano a farmi proposte come questa:


E nel degenero generale, abbiamo anche trovato il salvatore delle donne occidentali, 
Red, il cow boy di vacche sacre 
-grazie Federico per questo fantastico collage-

Insomma, pur essendo stata in questa terra folle e affascinante allo stesso tempo, per solo due settimane circa, sono andata a ripescare tra le note del telefono, un piccolo elenco con tutte le cose più peculiari che mi hanno colpito durante il mio breve percorso. 
Non ve la faccio edulcorata in nessun modo, certi giorni sono proprio stati una merda! 

AVVISO: 
tutto ciò che leggerete di seguito, potrebbe urtare la vostra sensibilità nel caso foste: analfabeti funzionali che non colgono l'ironia, sconosciuti che non conoscono il mio modo di scrivere, indiani ipernazionalisti, i due marò.
Ogni riferimento a cose, persone e situazioni, non è casuale, sono fatti avvenuti realmente, osservati sotto la lente di una ragazza occidentale, alla prima esperienza nel continente asiatico, che ha vissuto l'India nella maniera più cruda della full immersion, non come turista, e che usa l'ironia come arma per combattere ciò che le capita nella vita, quindi regolatevi di conseguenza.


La mia nota iniziava più o meno così:

La mattina in cui ho iniziato a scrivere questo post, stavo aspettando un Uber sotto casa. 
Una vacca sacra si ferma a un metro da me, in mezzo alla strada. Mi guarda con aria irriverente, mi scagazza davanti, e se ne va compiaciuta, in modo sacro ovviamente.
Ecco, direi che non avrei potuto trovare aneddoto migliore per raccontarvi come sia stata la mia prima settimana in India.
Mi avevano avvisata, che le differenze erano tante, che la cultura era diversa, che non sarei riuscita ad adattarmi. Ma io sono del segno del Toro, e per 1/4 calabrese, quindi ho la testa più dura del cemento, e non me ne frega fondamentalmente niente di quello che mi dice la gente. 
Povera scema.

Voglio iniziare dall'atterraggio, l'inizio inizio.

Gli odori.
Appena uscita dall'aeroporto, la prima cosa che colpisce è l'odore dell'aria. Mi avevano detto che l'avrei avvertito, ma avendo vissuto quasi a Whitechapel, il quartiere paki-bangla-indiano di Londra, non pensavo che mi avrebbe fatto chissà quale effetto. Mi sbagliavo. Non saprei descriverlo, è un miscuglio tra smog, cibo, sudore, forti e intensi odori. Altro che Whitechapel, che al massimo ti veniva voglia di Samosa mentre camminavi per stada.

Noi non usiamo la carta igienica
Stop, non voglio aggiungere altro. E come si puliscono? Con un doccino attaccato al water, praticamente un water-bidet tutto in uno, fantastico no? No. E poi, la cosa divertente è che essendoci poche persone che la usano, ha anche un prezzo esorbitante. Dico solo che la pagavo più di quanto la pagassi a Londra. Stop, che se no piango.

E non abbiamo il frigo in casa.
Immaginate. Caldo, niente aria condizionata. Puoi usare solo l'acqua in bottiglia perchè quella del rubinetto ti farebbe venire un cagotto epocale, tanto da farti pasare giorni interi in bagno (senza carta igienica). Hai bisogno di fresco. Eh, fatti tuoi, bevi l'acqua dalle tue bottigliette a temperatura ambiente. E temperatura ambiente vuol dire 35-37°C. Senza contare il cibo, cosa cucini quando non hai il frigo? Ci arriveremo.

Letto? Quello è il tuo letto.
Il mio letto era una cassapanca di legno. Il mio materasso era una coperta un po' spessa, tipo un materassino di stoffa alto non più di 10cm. E la mia padrona di casa, per cedermi il suo letto, ha dormito per terra, nell'ingresso, sdraiata su una stuoia, dopo avermi detto "vai tranquilla, io odio dormire nel letto, è troppo morbido, preferisco il pavimento". TROPPO. MORBIDO.
MORBIDOSO oserei dire.


Parliamo delle STRADE.

Come io immagino Napoli.
Cosa c'entra Napoli in un post sull'India? Nulla, o poco. 
Premetto che non ci sono mai stata (e mi si spezza il cuore), ma al nord esistono una serie di leggende meravigliose, di amici e parenti che ci sono stati in vacanza, o ci scendono regolarmente per andare a trovare i familiari. Se c'è una cosa che mi ha sempre colpito dei loro racconti è come descrivevano il traffico. 
Io ora vorrei prendere tutte queste persone e farle impallidire di fronte a ciò che ho visto!

Le moto, AKA uno dei motivi per i quali sarei potuta morire una volta al giorno.
La moto sembra essere il mezzo più usato, ho visto anche bambini guidare piccoli scooter, sono migliaia per le strade, sfrecciano di fianco agli altri veicoli con totale noncuranza, e non vi sto nemmeno a raccontare quanto si difficile attraversare la strada, strisce o meno, è una continua lotta per la vita. I primi giorni avevo una paura incredibile di attraversare, perchè le strade sono grandissime, le strisce sono rarissime e nessuno si ferma, MAI. Devi fare tu lo slalom tra i mezzi in corsa. 

Casco? Quello delle banane? 
Che ve lo dico a fa'? La cosa divertentissima è che ci sono anche negozi di caschi, addirittura venditori ambulanti di caschi per le strade. Ma vi assicuro che è una rarità assoluta vedere qualcuno in moto col casco. 

Aggiungi un posto in moto, che c'è un amico in più.
Pensavo che già due persone su uno scooter fossero troppe. Tre, magari le vedi a Napoli.
Quattro, no dai, è matematicamente impossibile. Quattro, di cui due adulti, un bambino e un neonato, è follia, pericolosissimo. 
E invece è la norma.
- in questa foto poi vediamo una particolarità, solo il padre col casco, sembra assurdo, visto che se io dovessi mai fare una cosa del genere (e non la farei MAI), preferirei tutelare i bambini, invece che la mia testa, e invece-

Vado di fretta, vado di fretta, con l'apetta.
Il più tipico tra i mezzi di trasporto è questo aggeggio qui.
Non è propriamente una moto. Non è proprio un'ape. Non è una macchina.
C'è chi lo chiama "bagiagi", chi lo chiama "tuc-tuc", chi lo chiama "autocar"(che dalla pronuncia inglese-indiana io pensavo dicessero "orto"). Sono delle specie di taxi, ce ne sono migliaia nelle città, e sono usatissimi. Noi avevamo la nostra autista di fiducia, una signora tra i 40 e i 50, simpaticissima, che parlava pochissimo inglese ma mi capiva benissimo. E guidava come una matta. Tutti gli autisti di questi aggeggini qui, guidano come matti, perchè essendo piccolo e molto maneggevole, puoi farci quello che vuoi. Praticamente sembrava di essere ad un rally ogni volta.
Mille modi per morire, se non muori attraversando la strada, lo farai su un tuc-tuc.
Grazie al cielo c'è anche Uber in India (IN INDIA E NON IN ITALIA, PORCO MONDO), che costa veramente una sciocchezza, qualcosa come 3, massimo 4 euro per una tratta di un'ora. 

GTT, spostati proprio.
Continuando la rassegna dei mezzi di trasporto, non potevo dimenticare quello che più mi ha lasciata basita. I bus. 
Penso basti qualche foto, non c'è bisogno di ulteriori commenti.

Non hanno porte, non hanno esattamente vetri. Sono così. E io, dopo il primo viaggio, ho decretato che sarebbe stato anche l'ultimo.


Il clacson è il mio migliore amico.
Di solito tutti quelli che mi conoscono si lamentano di come guido. Semplicemente perchè, se davanti ho degli imbecilli che non sanno guidare, mi attacco al clacson e suono imprecandogli contro.
In India, le strade, sono un concerto continuo di clacson, ma non lo fanno in maniera cattiva come me, che urlo come una matta contro quelli che non camminano, penso che loro lo facciano di default. Accendono, frizione, acceleratore, clacson. 

La strada è di tutti, soprattutto delle divinità.
Ma per strada non troverete solo mezzi di ogni genere. Le troverete popolate anche da: cani randagi, capre e vacche sacre. Questa delle vacche sacre l'ho sempre creduta una leggenda urbana, dai seriamente ci sono delle mucche giganti che girano libere tra il traffico delle città? Sì, veramente. A quanto mi hanno spiegato, la sacralità della vacca risiede nel fatto che, secondo la tradizione Hindi, in quest'animale risiedano tutti gli dei. Sono moltissime le rappresentazioni delle vacche nei templi. Anche qui ovviamente non mancano le contraddizioni. Pur essendo ritenuta sacra, lo stato in cui vegetano questi animali è davvero sconcertante. Vagano per le strade senza che nessuno le nutra, quindi costrette a mangiare quello che trovano ai bordi delle vie, che si tratti di cibo, spazzatura o qualsiasi oggetto, sono deperite, così magre che si riesce addirittura a vedere le costole. Ogni volta che ne vedevo una, provavo onestamente una gran pena. Poi effettivamente mi ricordo di quante volte io mangi la carne, e mi sono sentita un po' ipocrita. 
P.s. I McDonald esistono, non ci troverete carne rossa, ma solo pollo e hamburger vegetariani. Vi lamentate ancora delle insalate del Mec che trovate in Italia?

Guida all'inglese? No, guida all'indiana.
Io pensavo che in India si seguisse la guida "all'inglese", come anche in Giappone per esempio. Sì, cioè no. In India la strada è tua, punto. Non esiste un senso di marcia nelle strade di città. In quelle tipo statali, tangenziali o simili non c'è questo pericolo. Ma nelle strade interne è assolutamente normale vedere sfrecciare a tutta velocità una moto proveniente dal senso opposto, idem per quanto riguarda i tuc-tuc.

Per farvi un riassunto, vi lascio un video brevissimo che ho cercato di fare mentre ero sopra un bagiagi, ma ho smesso subito perchè temevo la morte! 


Ora passiamo alla parte USI & COSTUMI.

Il cibo, aiuto. Aiuto, aiuto.
In Italia, adoravo mangiare il cibo indiano. Costava una fortuna, ma a mio parere valeva tutti i soldi spesi. 
A Londra, non mi piaceva per niente il cibo indiano. Era tutto troppo fritto, troppo piccante, troppo sotto forma di pappine.
A Chennai ho odiato il cibo indiano.
Ok, forse "odiare" è una parola grossa. Diciamo che per l'esperienza che ho avuto anche il cibo è stato mio nemico.
In casa, non avendo il frigo, la scelta di cibo era limitata a: riso, riso e... riso. Ah, no. Vero, ogni tanto avevo anche le patate, insieme al riso. Fino a che non mi sono stufata, ho comprato un pacco di pasta, due pomodori e ho iniziato a cucinare solo per me, niente è più bello di un piatto di pasta col sugo fresco dopo giorno di riso in bianco. Santo cielo, sono un tale cliché. 

Il problema principale era che la mia accompagnatrice/mentore/responsabile era la classica indiana che mi portava a mangiare solo in posti indiani, l'equivalente delle nostre osterie, basso prezzo e tanto cibo. Quando poi una sua amica mi ha chiesto se volessi andare a mangiare un hamburger, quasi piangevo, idem quando mi hanno portato da KFC o Starbucks. 
Ore vi spiego.

A cosa ti servono le mani?
Il mio dramma numero uno. 
Appena scesa dall'aereo, la mia responsabile mi portò da degli amici che volevano conoscermi, io ero felicissima di questa cosa, appena arrivata e qualcuno già mi stava cucinando un tipico pranzo indiano. Cheffigo. Arriviamo, ci sediamo per terra, e fin qui tutto bene. Iniziano a mischiare il riso con una quantità enorme di cose buonissime, patate, cavolfiori, pollo più o meno piccante, verdure in salsine speziate, tutto nello stesso piatto. E poi iniziano a mangiare, CON LE MANI. Io non sono schizzinosa, lo sapete. Con le mani mangio la pizza, la carne alla brace, patatine, hamburger e via dicendo. Ma il riso, no. Non per una questione di igiene, perchè con un po' di Amuchina passa la paura (e vorrei solo ricordarvi che mi nonna mi aveva comprato dieci confezioni di Amuchina prima che partissi), è proprio per l'idea di avere riso ovunque, salsa ovunque, no. Gna fo'.


Il problema principale fu che trovandomi con una persona che riteneva assolutamente normale questa pratica, senza preoccuparsi di chiedermi cosa ne pensassi, mi sono ritrovata davanti una piccola barriera culturale. Quella volta, il mio primo giorno, mi adattai sforzandomi di integrarmi tra loro, e non vi dico nemmeno quanto ci misi a finire il mio pasto! Da quel giorno ho imparato a girare con un cucchiaio in borsa. Una conversazione che vi rende chiara la mi situazione è circa questa:
- Ma a cosa ti servono le mani, se non le usi per mangiare?
- A tenere le posate.
- Beh, ringrazia che non sei in Cina, quelle bacchette sono molto peggio delle mani.
- ... no.

Il tipico pasto indiano
Nei giorni a seguire, e sempre senza frigo in casa, la mia responsabile mi portava a mangiare fuori molto spesso. Non c'è bisogno che vi dica quanto poco costasse il cibo. Quello che in Italia, in un ristorante indiano, avresti pagato circa 30 euro, lì lo pagavamo l'equivalente di 1 o 2 euro, per un pranzo all you can eat.
La presentazione era questa:
Una volta seduti al tavolo, vengono date delle tovagliette fatte di foglia di banana, che bisogna bagnare con un po' d'acqua. Dopodiché passano tra i tavoli con grossi pentoloni di riso e condimenti vari, e con un mestolo te lo schiaffano sulla tovaglietta. Senza piatti, ovvio. 
I condimenti più classici sono quasi sempre speziati, più o meno piccanti, con moltissime verdure (esageratamente buone!), pollo o legumi. Usano tantissimo il burro e sono soliti bere una cosa chiamata "buttermilk", che io trovo un cicinin disgustoso, ed è praticamente lo scarto della panna quando si produce il burro, loro ne vanno ghiottissimi. 

Colazione con cornetto e cappuccino? Nah.
Colazione a casa, voleva dire mangiare riso, fresco o della sera prima, poco importava. Quindi, la prima volta che mi sono sentita dire "andiamo a fare colazione fuori", mi brillavano gli occhi come se mi avessero detto che Natale sarebbe arrivato in anticipo. Mi aspettavo un bel caffè, non quella schifezza solubile che avevo a casa, dei muffin, dolcini, tortine, cose buone e piene di zucchero.
E invece.
La mia colazione è stata questa:
Praticamente, per gli indiani la colazione è un pasto importante più del pranzo, quindi mangiano le stesse cose che mangerebbero a pranzo. Quando la mia responsabile mi ha chiesto cosa mangiavo io a colazione, e io le ho risposto biscotti, cereali, tortine, e cose così, mi ha detto "ma quella non è una colazione, è uno snack. Dai, vado a mettere su le lenticchie per la colazione di domani".
Giusto per darvi un'idea, ecco.

Altre cose che non so bene come classificare: fila indiana e meglio fuori che dentro.
Ci sono due cose che davvero facevo una fatica incredibile ad accettare: le code e il rutto libero.
Partiamo dalle code. Sarà che vengo da Londra, dove la gente sta in fila per il puro gusto di far file. Gli inglesi sono pazzi in questo senso, fanno file di ore anche solo per andare nel tale ristorante a fare colazione. Loro amano fare le code, quasi quanto amano Liz e le sausage rolls. Provate a cercare su google "why british people love to queue" e vi usciranno articoli fantastici, incluso questo video che vi aiuterà a capire bene questa loro ossessione per le code cliccando QUI. Bloody hell, come si vive bene in un posto dove nessuno scavalca le code e si sta tutti in un'unica fila in attesa del proprio turno.
Ma qui siamo in India, probabilmente gli anni sotto il colonialismo inglese hanno fatto in modo che regole millenarie come "la coda" venissero prese in odio. Avete presente, in Italia, quando c'è una fila? Ecco, io no, perchè in genere invece di esserci una composta fila unica, dove ognuno aspetta il suo turno, c'è un agglomerato di persone che provengono da tutte le parti e cercano di scavalcarti. In India è UGUALE. Tutto il mondo è paese? No, tutto il mondo dovrebbe essere un po' più educato.

E i rutti. Sapete che io non sono una signorina di classe. Faccio a gara di rutti con i miei amici maschi e qualche volta mi vanto come un pavone di uscirne vincitrice. Ma un conto è fare queste cose al pub o ad una tavolata di amici dentro casa. Ben diverso è andare a mangiare al ristorante e sentire ruttare tutta la gente intorno a te, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Già trovavo un po' difficile essere circondata da persone che mangiano riso con le mani, figurati quando dopo mostrano apprezzamento per il cibo con dei sonori ruttazzi. Mio fratello direbbe che tutto ciò è molto punk, non c'è che dire.


Animali fantastici nei centri commerciali: sorry, selfie?
Una delle cose che mi ha fatto più ridere era la gente nei centri commerciali che mi fermava per farsi una foto con me. Parliamoci chiaro, io non sono una strafiga, una modella di Victoria Secrets o una famosa star internazionale. Molto probabilmente per loro è così inusuale incontrare una ragazza pallidissima, con i capelli rossi ricci, gli occhi azzurri e i tatuaggi, che non vedevano l'ora di mostrare ad amici e parenti quale strano animaletto esotico si aggirasse tra i corridoi del centro commerciale. Mi è capitato davvero spesso che la gente mi fermasse e mi dicesse solo "Sorry, selfie?", e io accettavo ridendo, e ammetto che la cosa mi faceva sentire molto Lady Gaga, quindi la mia autostima era alle stelle! 

La contraddizione nell'abbigliamento
Questo più che uno shock culturale, è una mia grande perplessità, alla quale non ho avuto modo di trovare risposta.
Ve lo spiegano bene in questa vignetta:
Per chi non masticasse bene l'inglese, le due donne rimproverano la ragazzi di avere troppa pelle in mostra, salvo poi vedere che in alcuni casi i Sari mettono in mostra molta più belle degli abiti moderni. Probabilmente il fattore culturale è molto forte e fa in modo che, indossando un abito tipico, questi fattori passino in secondo piano, ma questa è solo un'ipotesi mia. 
Quando stavo preparando le valigie per andare in India, tutti mi dicevano di evitare categoricamente canotte, maglie scollare e short. Con i pantaloni larghi di tela, il caldo è assolutamente sopportabile, ma quando ho provato il mio primo Sari, ho provato una forte stima nei confronti delle donne che hanno lo sbatti di mettersi tutto quell'ambaradan addosso, che io al mattino è già un miracolo se riesco a mettermi la maglietta dal verso giusto.

-è comunque un indumento meraviglioso e ne avrei comprati 10 
se solo avessi l'occasione per metterli - 


L'India è proprio questo, un paese affascinante e pienissimo di contraddizioni. 
Qui ho voluto elencare alcune delle cose che, culturalmente, sono più distanti da me e dalla mia vita di tutti i giorni. Non ho alcuna vergogna ad ammettere che ho fatto davvero fatica i primi giorni ad abituarmi alla nuova realtà perchè, come ho già menzionato sopra, vivere certe realtà da turista è un conto, viverle totalmente immersa in una cultura diversissima, già dal primo giorno di permanenza, è un po' meno facile.
Mi piange il cuore averla abbandonata, vi dico la verità, anche se niente di quello che stavo vivendo era facile, o forse SOPRATTUTTO perchè niente era facile, lo trovavo incredibilmente stimolante. 

In poco tempo ho visto cose bellissime e cose bruttissime.


Ho visto templi meravigliosi

                                   


Come il Kapaleeswarar Temple, un tempio Hindu dedicato a Shiva

O gli innumerevoli templi ai bordi delle strade





Ho visto fiori e colori meravigliosi






Ma ho visto anche tanta povertà, tante persone dormire ovunque, tanti mendicanti passare le ore ai bordi della strada. 
Tante situazioni difficili, tante ingiustizie. Ho avuto modo di parlare con persone di differenti età e classi sociali.
Quelli che ho descritto sono sciocchezze rispetto ai veri shock che ho provato quando mi hanno raccontato le condizioni in cui vivono ancora oggi le donne o le realtà delle caste, dei dalit, per i quali esiste una fortissima tutela a livello Costituzionale, che però nella pratica è pari a zero, perchè ci sono realtà così inculcate nella società, dove i diritti umani non riescono a entrare, che sono difficili da cambiare.

How to get away with India?

Non si può, o la ami o la odi. C'è una specie di limbo, credo sia possa definire un limbo di adattamento, quello in cui mi trovavo io. A giorni alterni la odiavo per tutti i suoi limiti e altri giorni la amavo per le meraviglie che potevo trovare soltanto lì.
Tornerò ad altre condizioni, magari non vivendola più in modo crudo come la prima volta, e farò in modo che un po' addomestichi la mia visione così occidentale della vita, e mi renda più malleabile, per uscire dal limbo di adattamento e capire se davvero la amo o la odio.

Sono andata in India con una valigia piena di domande, che pensavo avrebbero trovato risposta dopo tre mesi passati in una terra che non era la mia. 
Sono tornata a casa dopo due settimane e mezzo, di cui una passata in ospedale, rischiando le penne e con la paura che non avrei più rivisto casa. Sono stata sfortunata, una serie di brutti eventi mi hanno fatto lasciare quella città con il magone, arrabbiata per quello che mi stava capitando e soprattutto perchè avevo dei piani, avevo dei progetti per i prossimi tre mesi in quella terra magica e misteriosa

Invece sono tornata a casa, ho lasciato alcuni pezzetti del mio corpo in ospedale, e mi sono portata a casa una brutta compagnia che inizierò a combattere nei prossimi giorni. E non la lascerò vincere, perchè io devo tornare in India e vedere gli elefanti in libertà, che è una delle cose più importanti che avrei voluto fare, e mi si spezza il cuore al pensiero di non esserci riuscita.

Ma appena starò meglio tornerò.


È una promessa.

      

How to get away with India: i miei shock culturali

Sapete quel nanosecondo subito dopo la sveglia, quando non sai bene dove sei o che giorno sia? Oggi, al mio risveglio, in quel nanosecondo ...